Contratto di ormeggio: il gestore dei servizi portuali è custode dell’imbarcazione?

La sentenza della Corte di appello di Napoli del 24 maggio 2021 si inserisce nel
solco giurisprudenziale secondo cui il contratto di ormeggio è atipico, la cui struttura
è liberamente decisa dalle stesse parti contraenti, le quali possono prevedere anche
l’assunzione dell’obbligazione di custodia dell’imbarcazione, come nella fattispecie
scrutinata, con la conseguente assunzione di responsabilità in capo al gestore dei
servizi portuali in caso di danni alla res, la cui liberazione, postula l’allegazione della
prova di non imputabilità in capo al medesimo dell’inadempimento al suddetto
obbligo.
Il caso
La fattispecie trae origine da un contratto di ormeggio ed altri servizi portuali per
utenti, con abilitazione al noleggio e locazione da diporto, di durata annuale, relativa
ad una barca a vela.
A causa del cedimento dell’ormeggio di prua – cd. “corpo morto” – di proprietà del
gestore del porto di Capri, l’imbarcazione urtava con la poppa in banchina e si
abbatteva con la muratura sull’adiacente pontile galleggiante, riportando danni.
Avverso la pronuncia del tribunale di rigetto della domanda di risarcimento danni
proposta dalla società proprietaria della barca, poiché il contratto stipulato tra le parti
prevedeva l’accesso diretto ai servizi di ormeggio, con la conseguente ritenuta
inesistenza di un’obbligo di custodia in capo alla società convenuta, viene interposto
appello.
La soluzione
La Corte d’appello accoglie la domanda attorea, riformando la sentenza del giudice
di prime cure, osservando preliminarmente che sussiste il nesso di causalità tra
l’evento ed i danni lamentati, e che in tale ottica, l’accesso diretto ai servizi di
ormeggio non significa che l’accesso e la gestione agli stessi debba essere curata in
proprio dai diportisti, perché ciò significherebbe che quest’ultimi dovrebbero gestire
in proprio anche i restanti servizi inclusi nel contratto di ormeggio, che invece sono
Corte d’Appello di Napoli, sez. VII, sentenza 24 maggio 202
gestiti dalla stessa società portuale che garantisce la perfetta tenuta delle strutture
ove le imbarcazioni materialmente attraccano.
L’attento esame del contratto di ormeggio avalla la tesi che lo stesso includa anche
altri servizi correlati all’uso del posto barca, circostanza che denota quindi
l’ampiezza dell’assistenza resa al diportista da parte della società che gestisce il
porto riferita all’imbarcazione individuata nello stesso rapporto negoziale.
Tale cornice negoziale, consente allora di concludere che l’utilizzo diretto dei servizi
si riferisce al diritto ad usufruirne in proprio diretto ed esclusivo favore il quale, non
vale ad escludere “ex se” l’obbligo di custodia di cui trattasi in capo al medesimo
gestore dei servizi portuali.
In tale ottica, i giudici del gravame ritengono allora che la sorveglianza dell’ormeggio
sembra doversi intendere riferita all’obbligo del suo controllo e, dunque, custodia,
inerente allo stesso natante ormeggiato.
In tale senso, depone il regolamento portuale costituente parte integrante del
contratto di ormeggio, da cui si evince la duplice previsione concernente la vigilanza
sulle imbarcazioni, e che il gestore ha l’onere di garantire la sicurezza della struttura
ricettiva, vigilando sul corretto stazionamento del natante e sulla sicurezza
dell’ormeggio, adottando ogni misura utile allo scopo, essendo evidente che il
medesimo, nel gestire direttamente il traffico veicolare ed i parcheggi nell’area
portuale è dunque responsabile in caso di omissione per inadempimento
contrattuale all’osservanza degli obblighi di protezione, come nel caso delle
operazioni di accesso per l’ormeggio gestite direttamente sempre dal gestore, e dei
cd. “corpi morti” predisposti dal medesimo, tenuto a curarne la relativa
manutenzione e custodia, il cui uso è obbligatorio per i diportisti.
All’accertata esistenza dell’obbligo di sorveglianza degli ormeggi e quello di vigilanza
sulle imbarcazioni, i giudici partenopei delineano in concreto l’atteggiarsi dell’obbligo
accessorio di custodia dell’imbarcazione, come funzionale all’adempimento
dell’obbligazione principale, ragione per cui adottano come parametro di riferimento
quello della diligenza del buon padre di famiglia, che comprende l’osservanza del
dovere di protezione, consistente nella predisposizione di quanto necessario per
prevenire gli accadimenti esterni che possano determinare la perdita od il
deterioramento della cosa in custodia, eventualmente allegando la prova liberatoria
che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione non
imputabile al medesimo obbligato, situazione nella fattispecie, non dimostrata, con
riferimento alla presunta rottura della cima dell’imbarcazione danneggiata.
Nella fattispecie scrutinata, viene anche affermata la nullità exart. 1229 c.c. della
clausola di esonero del gestore da ogni responsabilità per i danni all’imbarcazione,
contenuta nel contratto di ormeggio, in quanto, contrastante con l’impegno
contrattuale alla custodia dell’imbarcazione, costituendo un’inaccettabile patto volto
ad escludere o limitare preventivamente la responsabilità dello stesso debitore per
dolo o colpa grave, non superabile con la sottoscrizione della stessa exart. 1341,
secondo comma, c.c.
In ordine alla valutazione del danno, si è tenuto conto dell’art. 1223 c.c. secondo cui
il danno consistente nella perdita di un bene suscettibile di valutazione economica, il
ripristino dello status quo ante delle condizioni patrimoniali del danneggiato avviene
surrogando la perdita con un’importo monetario che esprime il controvalore del bene
perduto non al momento del danno (aestimatio) ma a quello della sua liquidazione
(taxatio), dovendo anche tenersi conto della mora debendi, tipici della mora ex re,
liquidabile exart. 1226 c.c. od a forfait, consistente nei frutti che il denaro dovuto a
titolo di risarcimento avrebbe prodotto sin dal giorno del sinistro ovvero del verificarsi
del fatto illecito, in caso di tempestivo pagamento.
Osservazioni e precedenti giurisprudenziali
Il contratto di ormeggio non trova alcuna specifica regolamentazione né nel codice
civile né in quello della navigazione, che si limita a dettare norme sulla professione
di ormeggiatore exart. 116, primo comma, n. 4, cod. nav. e 208 e ss. reg. nav. mar.,
costituendo un contratto atipico (Trib. Livorno 25 settembre 2018), a forma libera
(Trib. Napoli 23 settembre 2011), diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela
ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, c.c. che può perfezionarsi per effetto del
solo consenso dei contraenti manifestato anche per facta concludentia, attraverso
l’accettazione da parte dell’utente dell’attività propria dell’ormeggiatore (Cass. civ.
sez. III, 21 settembre 2011, n. 19201).
La pronuncia in commento muove quindi dall’orientamento consolidatosi nella
giurisprudenza di legittimità secondo cui il contratto di ormeggio, pur rientrando nella
categoria dei contratti atipici, è sempre caratterizzato da una struttura minima
essenziale (Trib. Chiavari 24 marzo 2009, in Dir. maritt., , 2010, 661; Cass. civ. sez.
Unite 3 aprile 2007, n. 8224; Cass. civ. sez. III, 2 agosto 2000, n. 10118), in
mancanza della quale, non può dirsi realizzata la relativa convenzione negoziale,
consistente nella semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture
portuali, con la conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo
(Trib. Trieste 15 febbraio 2011, in Dir. maritt., 2013, 473).
Ciò premesso, il contratto di ormeggio non può essere equiparato – sic et simpliciter
– al deposito (Cass. civ. sez. III, 21 ottobre 1994, n. 8657), sì da doversi ritenere
automaticamente applicabili analogicamente le disposizioni di cui agli artt. 1766 e
ss. c.c., potendo avere un oggetto più vario ed articolato, in dipendenza sia delle
attrezzature ed organizzazione del porto turistico, sia degli accordi intercorsi tra le
parti, nell’espletamento della loro autonomia contrattuale (App. Roma 27 gennaio
2021; App. Napoli 24 gennaio 2008).
Infatti il contenuto del contratto può estendersi anche ad altre prestazioni, quali la
custodia del natante e/o quella delle cose in esso contenute, restando a carico di chi
fonda un determinato diritto o la responsabilità dell’altro contraente sulla struttura
del rapporto negoziale, fornire la prova dell’oggetto e del contenuto , cioè, che
il contratto ha avuto ad oggetto non la semplice utilizzazione delle strutture, ai fini
dell’attracco e della sosta, ma altresì la custodia dell’imbarcazione (Cass. civ. sez.
III, 13 febbraio 2013, n. 3554).
Ove ricorra tale ultima eventualità, consegue che la consegna del bene ed i derivati
doveri di custodia non restano delimitati al natante nella sua struttura elementare,
ma si estendono, salvo patto contrario, a tutta l’imbarcazione, con l’obbligo per il
gestore dei servizi portuali di custodirla e di restituirla nello stato in cui è stata
consegnata (Cass. civ. sez. III, 19 agosto 2009, n. 18419).
In ogni caso, nell’eventualità che il contratto di ormeggio in questione, abbia come
contenuto solo quello proprio della locazione della struttura portuale, egualmente
potrebbe sussistere la responsabilità risarcitoria del gestore a norma dell’art. 1578,
secondo comma, c.c. laddove risultino esistenti i relativi presupposti, perché il
locatore se non prova di avere senza sua colpa ignorato i vizi della cosa al momento
della consegna è tenuto al risarcimento dei relativi danni (Cass. civ. sez. III, 1°
giugno 2004, n. 10484).
Il contratto di ormeggio, laddove contempli invece anche l’obbligo di custodia, in tale
ipotesi, richiama non solo la disciplina della locazione, ma anche quella del deposito,
sicché il depositario non è esente da responsabilità ove si limiti a dimostrare di avere
usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia prescritta dall’art. 1768
c.c., dovendo provare ai sensi dell’art. 1218 c.c. che l’inadempimento sia derivato da
causa a lui non imputabile (Trib. Catania 27 gennaio 2020; Cass. civ. sez. III, 25
novembre 2013, n. 26353), e, quindi, in caso di danneggiamento, sussiste l’obbligo
di risarcire il danno, salvo che provi l’imprevedibilità e l’inevitabilità dello stesso,
nonostante l’uso della diligenza del buon padre di famiglia.
Tale fatto esterno, non deve assumere necessariamente i caratteri del caso fortuito o
della forza maggiore, atteso che non si versa in un’ipotesi di presunzione
di responsabilità, ma di presunzione di colpa.
Pertanto, la prova liberatoria consiste nella dimostrazione di aver adottato tutte le
precauzioni suggerite dall’ordinaria diligenza, con l’avvertenza che ove il
concessionario dell’ormeggio si renda conto della necessità di uno sforzo maggiore
rispetto a quello ordinario, egli è tenuto a prestarlo, versando altrimenti in colpa
cosciente, ancorché abbia custodito il bene con la diligenza del buon padre di
famiglia (App. Bari sez. III, 28 maggio 2019; Cass. civ. sez. III, 1 giugno 2004, n.
10484, cit.).
Trattandosi di contratto per il quale, come si è detto, non è richiesta alcuna forma, la
relativa prova può essere data anche attraverso testimoni e può, eventualmente,
essere tratta da presunzioni che presentino i connotati della gravità, precisione e
concordanza exart. 2729 c.c.
Infine, va opportunamente precisato che la pronuncia in commento si rivela coerente
con la ricostruzione dell’istituto emersa nella giurisprudenza, anche di merito,
secondo cui il contratto di ormeggio ha assunto una sua giuridica individualità, in cui
convivono norme confluenti da tipi legali differenti, sulla cui scorta, oltre alla
principale prestazione di fornire uno spazio acqueo per l’ormeggio di un’unità da
diporto, è coessenziale al sinallagma funzionale l’obbligazione di custodia che
connota il contratto nella sua unitaria funzione economico-sociale, superando così la
tradizionale distinzione fra il contratto di ormeggio-deposito e quello di ormeggiolocazione (Trib. Trieste 28 luglio 1999, in Dir. trasporti, 2000, 885).
Conseguentemente, è in tale ottica, che approfondendo il rapporto fra l’art. 1768
c.c., e l’art. 1218 c.c., secondo i principi che regolano la ripartizione dell’onere
probatorio in tema di inadempimento contrattuale, i giudici sono pervenuti ad
affermare che il gestore per evitare di incorrere in colpa, deve provare di avere posto
in essere tutte le attività protettive che l’ordinaria diligenza suggerisce (Cass. civ.
sez. III, 24 maggio 2007, n. 12089), posto che ai sensi dell’art. 1218 c.c. il debitore
che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del
danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da
impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Tirando le fila del discorso, può allora affermarsi che è stata inquadrata
correttamente dai giudici partenopei nella pronuncia che si annota la fattispecie
scrutinata e la relativa disciplina applicabile, anche in ordine all’applicazione dell’art.
1229 c.c. secondo cui è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la
responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave (In dottrina da ultimo v. G.
Anzani, Osservazioni sui patti di esonero da responsabilità civile che deve
considerarsi nullo, ai sensi della norma citata qualsiasi patto che escluda o limiti
preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave (Cass. civ.
sez. III, 7 ottobre 2010, n. 20808), perché la suddetta norma è espressione
dell’autonomia negoziale, che incontra però i limiti ed obbedisce ad esigenze che
discendono dalla sua stressa logica, quali confini che segnano l’ammissibilità dello
stesso negozio, ragione per cui la nullità di protezione che viene a configurarsi è
volta alla tutela d’interessi prettamente generali dell’ordinamento, afferenti a valori
ritenuti fondamentali per l’organizzazione sociale (Cass. civ. sez. Unite, 12 dicembre
2014, n. 26242).
In buona sostanza, la preventiva esclusione di ogni responsabilità del gestore, nella
fattispecie, contrasta con l’art. 1229 c.c. perché tale patto negoziale, ove fosse
ritenuto valido, comprimerebbe sino ad annullarlo lo stesso senso di responsabilità
del debitore della prestazione, favorendone un comportamento indifferente rispetto
all’interesse dell’altra parte, con grave pregiudizio dello spirito di collaborazione che
deve animare i rapporti contrattuali, e che trova puntuale espressione nel principio di
buona fede nella fase preliminare e di esecuzione del contratto (In dottrina, v. Betti,
Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953, 106 e ss.; sull’argomento v.
anche Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio (Appunti delle lezioni), I, Milano,
1968, passim).
In tale ipotesi, gli effetti del negozio giuridico sono sottratti all’autonomia privata, alla
quale è preclusa la possibilità di apporre restrizioni od esclusioni della responsabilità
che ripugnino alla sua funzione tipica, secondo il criterio di cui all’art. 1176 c.c.
suscettibile di congrue differenziazioni.

 

FONTE: QUOTIDIANO GIURIDICO