Può costituire illecito disciplinare, in quanto lesivo dei doveri di dignità e di decoro e
del divieto di accaparramento della clientela, il comportamento dell’avvocato che, sul
proprio sito internet, offra la propria attività a compensi infimi o gratuiti.
Il Consiglio Nazionale Forense prende in esame due questioni di particolare
interesse; da un lato, la procedibilità dell’azione disciplinare in presenza di un
esposto anonimo, e, dall’altro, i limiti entro cui l’avvocato può fornire al pubblico le
informazioni relative alle tariffe offerte.
In particolare, il CNF ritiene irrilevante, ai fini della procedibilità dell’azione
disciplinare, il fatto che l’esposto sia anonimo o che il relativo autore chieda di
rimanere tale, a meno che, ovviamente, tale circostanza impedisca di accertare
l’eventuale illecito. Con riferimento all’informazione sull’attività professionale, il CNF
ribadisce il proprio orientamento secondo cui costituisce illecito disciplinare la
condotta dell’avvocato che offra tariffe eccessivamente basse o addirittura che offra
prestazioni gratuite.
Il fatto
Nel caso in esame il Consiglio Nazionale Forense è stato adito in sede di
impugnazione nei confronti di una decisione emessa dal Commissione Distrettuale
di Disciplina del Veneto. Nella pronuncia impugnata il CDD territoriale aveva
disposto l’archiviazione del procedimento.
La domanda
Nel caso di specie, a seguito di un esposto anonimo (o meglio di un esposto il cui
autore chiedeva di rimanere anonimo), il COA di Padova trasmetteva la notizia di
illecito (avente ad oggetto l’esistenza di un sito internet, riferibile all’avvocato
destinatario dell’esposto, in cui quest’ultimo offriva la propria attività a prezzi gratuiti
o, comunque, a tariffe basse) alla competente Commissione Distrettuale di
Disciplina.
Consiglio Nazionale Forense 15 aprile 2021, n. 75/21 R.D
Il CDD distrettuale, istruito il procedimento, disponeva l’archiviazione della notizia di
illecito in considerazione del fatto che non era possibile risalire alle generalità
dell’esponente e che, comunque, le informazioni pubblicate sul sito internet non
apparivano ingannevoli. La decisione viene quindi impugnata avanti al Consiglio
Nazionale Forense dal COA di Padova sulla base di due distinti motivi, ossia che la
procedibilità dell’azione disciplinare non è preclusa dall’anonimato dell’esposto e che
le informazioni pubblicate sul sito avrebbero comunque integrato una violazione di
dignità e di decoro della professione.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense
Nella pronuncia annotata, il Consiglio Nazionale Forense affronta due temi
particolarmente interessanti. Anzitutto, dal punto di vista strettamente processuale, il
CNF rileva, giustamente, che l’anonimato dell’esposto non preclude la procedibilità
dell’azione di disciplinare. Del resto, in più occasioni il CNF ha sottolineato le
similitudini fra azione disciplinare e azione penale. Conseguentemente, anche in
materia deontologica, la mancata individuazione dell’autore dell’esposto non
preclude alla competente autorità la possibilità (e, anzi, il dovere) di accertare
l’esistenza delle condotte contestate e la loro eventuale rilevanza disciplinare. Del
resto, proprio come in materia penale, anche in materia deontologica le autorità
competenti, una volta avuta notizia di un fatto costituente un possibile illecito
disciplinare, hanno il dovere di verificarne la rilevanza deontologica.
Ovviamente, e l’osservazione svolta dal CNF è assolutamente condivisibile,
l’anonimato della denuncia può impedire, non tanto (in astratto) la procedibilità
dell’azione disciplinare, quanto piuttosto (in concreto) il suo effettivo esercizio (ove
l’anonimato impedisca di accertare concretamente le condotte denunciate). Questo
certamente non era il caso di specie, in cui la condotta contestata era rappresentata
dalle informazioni pubblicate su un sito internet aperto a tutti.
Venendo al merito, il CNF, pur limitandosi a rimettere gli atti al giudice di primo grado
(non potendo decidere nel merito il procedimento), svolge comunque alcune
interessanti riflessioni. In particolare, il CNF ritiene che il messaggio informativo
dell’avvocato, soprattutto con riferimento alle tariffe praticate, non possa mai tradursi
in forme di pubblicità elogiativa, comparativa o ingannevole. In definitiva, secondo il
CNF l’informazione pubblicitaria consentita all’avvocato non è e non può essere
indiscriminata, ma deve comunque essere idonea a consentire a chi ricerca
l’assistenza di orientarsi razionalmente e liberamente nella scelta.
Letta in astratto la decisione del CNF appare pienamente condivisibile. Tuttavia,
proprio perché specificamente rapportata alle tariffe applicate, la decisione solleva
alcune perplessità. In effetti, il CNF non menziona la deroga dei parametri minimi
previsti dal D.M. 55 del 2014; tuttavia, sostanzialmente considera
deontologicamente illecita (in quanto lesiva della dignità della professione) l’offerta di
prestazioni “gratuite”.
L’atteggiamento del CNF è condivisibile, nel chiaro tentativo di limitare abusi ed
eccessi conseguenti alle liberalizzazioni degli ultimi anni. Tuttavia, si tratta di una
battaglia per così dire di retroguardia. Più che riproporre in diversa forma vecchi
divieti (in effetti la decisione del CNF sembra sostanzialmente considerare scorretta
l’applicazione di prezzi eccessivamente bassi, come se, di fatto, esistesse ancora un
divieto di derogare i minimi tariffari), converrebbe adattare il controllo disciplinare alle
nuove modalità di svolgimento della professione forense, ormai sempre meno
“professione” e sempre più “impresa”.
Più che valutare, in modo oggettivo, l’entità delle tariffe proposte, dovrebbe essere
considerata (e se del caso sanzionata) la complessiva correttezza dell’offerta
informativa (verificando, ad esempio, se il prezzo offerto sia ingannevole alla luce
delle condizioni complessivamente offerte).
FONTE: QUOTIDIANO GIURIDICO