Responsabilità medica: il differimento delle spese della CTU preventiva all’esito del giudizio di merito

Con la sentenza n. 87 del 2021 la Corte costituzionale ha dichiarato la non
fondatezza, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., delle questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 8, commi 1 e 2, della legge 8 marzo 2017, n. 24, nella parte in
cui escludono che il giudice possa addebitare, totalmente o parzialmente, a una
parte diversa da quella ricorrente, il costo, comprensivo di compensi ed esborsi,
dell’attività del collegio nominato per lo svolgimento della consulenza tecnica
d’ufficio nel procedimento di cui agli artt. 696-bis c.p.c. e 8 della legge n. 24 del
2017, che ha reso tale procedimento condizione di procedibilità della domanda,
poiché, in assenza di un accordo tra le parti, il giudice non avrebbe un criterio per
regolare tali esborsi come spese processuali, mancando in questa fase una vera e
propria soccombenza, quali che siano le conclusioni dell’elaborato peritale, con la
conseguenza che il differimento della regolamentazione delle spese processuali,
comprensive delle spese della consulenza tecnica, all’esito del giudizio di merito
avente ad oggetto la pretesa risarcitoria è giustificato e non crea un ostacolo,
eccessivo e rigido, idoneo a pregiudicare il diritto alla tutela giurisdizionale.
Il caso
Con ordinanza del 21 maggio 2020, il Tribunale di Firenze sollevava questioni di
legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 8 del d.P.R. 30 maggio
2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
spese di giustizia – Testo A) e 8, commi 1 e 2, della legge 8 marzo 2017, n. 24
(Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in
materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie)
nonché degli artt. 91, 669-quaterdecies e 669-septies c.p.c., per violazione degli artt.
2, 3, 24 e 32 Cost., nella misura in cui escludono che il giudice possa addebitare,
totalmente o parzialmente, a una parte diversa da quella ricorrente, il costo,
comprensivo di compensi ed esborsi, dell’attività del collegio nominato per lo
􀀀 Corte costituzionale, sentenza 5 maggio 2021, n. 87
svolgimento della consulenza tecnica d’ufficio nel procedimento di cui agli artt. 696-
bis c.p.c. e 8 della legge n. 24 del 2017, che ha reso tale procedimento condizione di
procedibilità della domanda giudiziale di merito.
Il rimettente precisava che la questione di legittimità costituzionale sottoposta
all’esame della Corte non aveva ad oggetto l’intero regime delle spese processuali
conseguenti all’espletamento del procedimento di cui agli artt. 8 della legge n. 24 del
2017 e 696-bis c.p.c., ma solo gli esborsi connessi al costo della CTU, identificabili
nel compenso del collegio peritale e nelle spese vive sostenute. E all’uopo esponeva
che, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. Un., sent. 28 aprile
1989, n. 2021), la pronunzia di condanna alle spese avrebbe potuto essere emessa
anche con interlocutio nel corso del giudizio, anziché con sententia e, quindi,
prescindendo dalla soccombenza della parte in punto di merito.
Pertanto, in base all’ordinanza di rimessione, l’art. 8 della legge n. 24 del 2017 era
censurato nella parte in cui avrebbe impedito la condanna al pagamento delle spese
della consulenza tecnica, come spese processuali, già al termine del procedimento
di consulenza tecnica preventiva, tenendo conto dell’esito favorevole al ricorrente,
senza che la loro regolamentazione debba essere necessariamente differita all’esito
del successivo giudizio di merito sulla pretesa risarcitoria. E ciò tenuto conto del
precedente della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la pronuncia sulle spese
processuali, all’esito del procedimento di consulenza tecnica preventiva, sarebbe
“abnorme” (Cass. civ sez. VI, ord. 22 ottobre 2018, n. 26573), essendo, in ogni caso,
la regolamentazione delle spese processuali differita all’esito del giudizio di merito
avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno derivante da responsabilità
sanitaria sulla base del criterio della soccombenza.
Secondo la prospettazione del giudice a quo, tale necessario differimento, ritenuto
alla stregua di un diritto vivente, avrebbe potuto costituire, per chi non abbia i
requisiti reddituali per accedere al beneficio del patrocinio a spese dello Stato e
nondimeno versi in condizioni economiche precarie, un ostacolo eccessivo
all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) e avrebbe ridondato in
disparità di trattamento, così determinando un accesso differenziato alla tutela
giurisdizionale in ragione delle capacità economiche della parte ricorrente (art. 3
Cost.).
La decisione della Corte costituzionale
Con la segnalata sentenza la Consulta ha dichiarato la non fondatezza delle
questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento ad entrambi i
parametri evocati.
In via preliminare, la Corte ha circoscritto l’oggetto delle questioni all’art. 8, commi 1
e 2, della legge n. 24 del 2017, ossia alla disciplina della introdotta consulenza
tecnica preventiva quale condizione di procedibilità della domanda di risarcimento
del danno derivante da responsabilità sanitaria. Infatti, le altre disposizioni, seppure
parimenti indicate come censurate, sono state in realtà richiamate al solo fine di
illustrare il più ampio contesto normativo nel quale si colloca la fattispecie oggetto
dei dubbi di legittimità costituzionale. Cosicché, ha osservato la Corte, le censure
mosse dal rimettente, riguardanti, in particolare, l’onere del costo della consulenza
peritale, si sono appuntate sul regime delle spese processuali relative
all’accertamento tecnico preventivo in esame, quale deve considerarsi anche la
consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 8 della legge n. 24 del 2017, e non
invece sulla regola dell’anticipazione delle spese della consulenza tecnica ex art. 8
del d.P.R. n. 115 del 2002, avendo il giudice già provveduto in proposito facendo
applicazione di tale disposizione, né sulla liquidazione, con decreto, delle spettanze
ai consulenti d’ufficio ai sensi dell’art. 168 del d.P.R. n. 115 del 2002.
Sotto questo profilo – quello della regolamentazione delle spese processuali – viene
in rilievo l’art. 669-quaterdecies c.p.c. che stabilisce, tra l’altro, che ai procedimenti di
istruzione preventiva, e quindi anche alla consulenza tecnica preventiva di cui all’art.
696-bis c.p.c. e a quella di cui all’art. 8 della legge n. 24 del 2017, si applica altresì
l’art. 669-septies c.p.c., secondo cui il giudice provvede definitivamente sulle spese
processuali in caso di ordinanza di incompetenza o di rigetto, che comprende anche
l’ipotesi dell’inammissibilità della domanda; ossia casi in cui l’accertamento tecnico
preventivo non ha luogo. Da ciò discende che in tutti gli altri casi – ossia quando
invece ha avuto normalmente corso l’accertamento tecnico preventivo previsto dalla
disposizione censurata ed esso è giunto a conclusione con il deposito dell’elaborato
peritale – il giudice non può provvedere sulle spese e, se ciò fa, la pronuncia di
condanna di una parte, a favore dell’altra, al pagamento delle spese della
consulenza – e in generale delle spese del procedimento – è considerata dalla
giurisprudenza come “abnorme” e quindi contra ius (Cass. civ., sez. VI-III, ord. 22
ottobre 2018, n. 26573). La regolamentazione delle spese, anche di quelle della
consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c., è sempre rimessa ad una fase
successiva, ancorché non necessaria, ma eventuale: quella del giudizio di merito
promosso con l’atto introduttivo divenuto procedibile. Per converso, il rimettente ha
auspicato una diversa disciplina, che attenui il nesso di strumentalità
dell’accertamento tecnico preventivo rispetto al giudizio di merito, sì da consentire al
giudice di regolare le spese processuali, e segnatamente quelle della consulenza
tecnica, già all’esito del procedimento stesso.
Il Giudice delle leggi ha, quindi, evidenziato che una siffatta disciplina – in disparte i
provvedimenti cautelari a strumentalità attenuata, per i quali è contemplato il potere
del giudice di liquidare in ogni caso le spese processuali all’esito del procedimento –
è in effetti prevista in un’altra analoga fattispecie di accertamento tecnico preventivo,
che parimenti condiziona la procedibilità dell’azione giudiziaria. L’art. 445-bis c.p.c.
stabilisce che, nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità
civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità,
chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti deve
presentare al tribunale istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva
delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Anche in questa
fattispecie l’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce
condizione di procedibilità della domanda giudiziale, che la Corte ha ritenuto
compatibile con il diritto alla tutela giurisdizionale, garantito dall’art. 24 Cost.
Terminate le operazioni peritali, in assenza di contestazioni delle conclusioni del
consulente tecnico d’ufficio e quindi sussistendo l’accordo, espresso o tacito, delle
parti sull’esito dell’accertamento tecnico preventivo, il giudice, con il decreto di
omologa dell’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie
indicate nella relazione del consulente tecnico d’ufficio, provvede sulle spese. Ciò,
invece, non è previsto che il giudice possa fare in alcun caso nella parallela ipotesi
della consulenza tecnica preventiva ex art. 8 della legge n. 24 del 2017, oggetto
delle questioni di legittimità costituzionale.
Di seguito, la Corte ha rilevato che sussiste una ragione giustificativa del diverso
regime, rispetto a quello della disposizione censurata, che non contempla – anzi
esclude – che il giudice possa provvedere sulle spese. Il giudice, nel procedimento
ex art. 445-bis c.p.c., regola le spese quando la fase dell’accertamento tecnico
preventivo chiude il contenzioso in ragione dell’accordo delle parti, espresso o tacito
(per mancata tempestiva contestazione delle conclusioni del consulente tecnico
d’ufficio), sì da non essere seguita da un giudizio ordinario sulla pretesa del
ricorrente. Viceversa, nel procedimento ex art. 8 della legge n. 24 del 2017 questa
verifica, da parte del giudice, in ordine all’accordo delle parti sull’esito
dell’accertamento peritale, non è prevista e ciò giustifica che in nessun caso il
giudice possa provvedere sulle spese processuali.
Del resto, ad avviso della Consulta, in assenza di un accordo tra le parti, il giudice
non avrebbe un criterio per regolare le spese della consulenza tecnica preventiva ex
art. 8 della legge n. 24 del 2017 come spese processuali, mancando in questa fase
una vera e propria soccombenza, quali che siano le conclusioni dell’elaborato
peritale. Mentre le spese dell’ordinaria consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis
c.p.c., non costituendo un atto necessario del processo, ma rispondendo ad una
libera scelta della parte, non hanno natura giudiziale e non appartengono alle spese
di lite, perché relative a una fase stragiudiziale non necessaria (Cass. civ., sez. III,
ord. 3 settembre 2019, n. 21975).
Conseguentemente, ha sostenuto la Corte, nella fattispecie il differimento della
regolamentazione delle spese processuali, comprensive delle spese della
consulenza tecnica, all’esito del giudizio di merito avente ad oggetto la pretesa
risarcitoria è giustificato e non crea un ostacolo, eccessivo e rigido, che – in ragione
delle condizioni economiche del ricorrente, in ipotesi precarie, ma non tali da
consentire l’accesso al patrocinio a spese dello Stato – possa pregiudicare il diritto
alla tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost.
Secondo la Corte, tale conclusione non determina un’indebita compressione del
diritto di difesa né importa una scelta manifestamente arbitraria, tanto più che, nelle
controversie in tema di responsabilità sanitaria disciplinate dalla legge n. 24 del
2017, la durata del giudizio di merito, che la stessa disposizione censurata prevede
che si svolga nelle forme del procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis e
ss. c.p.c., dovrebbe essere tendenzialmente breve sia per la connotazione
deformalizzata del rito, sia per la già avvenuta anticipazione del segmento istruttorio
fondamentale della consulenza tecnica.
Ed ancora, ha esposto la Corte, nella valutazione di non fondatezza della censura
sollevata in riferimento all’art. 24 Cost. concorre anche la considerazione che l’art. 8,
comma 2, della legge n. 24 del 2017 individua, quale condizione di procedibilità
alternativa, la mediazione di cui al d.lgs. n. 28 del 2010. Il ricorrente può quindi
scegliere una via per lui meno onerosa, dal momento che la consulenza tecnica
d’ufficio è espressamente posta a carico delle parti in solido dall’art. 16, comma 11,
del d.m. Giustizia 18 ottobre 2010, n. 180.
La questione è stata ritenuta non fondata anche in riferimento all’art. 3 Cost. Sotto
tale profilo il giudice rimettente ha prospettato che l’anticipazione dei costi della
consulenza potrebbe determinare disparità rispetto al diritto di accesso al giudice a
seconda delle condizioni economiche delle parti. Sennonché, ha obiettato il Giudice
delle leggi, nelle ipotesi in cui la parte ricorrente abbia i presupposti reddituali per
ottenere il beneficio del patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’art. 76 del d.P.R.
n. 115 del 2002, la situazione di disparità economica della stessa è riequilibrata dalla
prenotazione a debito dei costi della consulenza medico-legale. Né, sotto tale
profilo, la questione è stata reputata fondata con riferimento ai soggetti esclusi da
tale beneficio per avere un reddito superiore a quello previsto dal predetto art. 76, i
quali potrebbero essere, in concreto, in difficoltà nel sostenere l’anticipazione delle
spese della consulenza tecnica poiché la disciplina in materia di patrocinio dello
Stato ha anch’essa natura processuale, di talché nella conformazione della stessa il
legislatore gode di ampia discrezionalità ed il correlato limite della non manifesta
arbitrarietà della regolamentazione non è superato in un assetto nel quale la
regolamentazione delle spese della consulenza tecnica come spese processuali è
differita all’esito del giudizio di merito avente ad oggetto la domanda di risarcimento
del danno derivante da responsabilità sanitaria sulla base della soccombenza ex art.
91, comma 1, c.p.c.
Esito del giudizio di costituzionalità:
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8 del decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)» e
degli artt. 91, 669-quaterdecies e 669-septies del codice di procedura civile,
sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 32 della Costituzione, dal Tribunale
ordinario di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, commi 1 e
2, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e
della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli
esercenti le professioni sanitarie), sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 32 Cost., dal
Tribunale ordinario di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, commi 1 e
2, della legge n. 24 del 2017, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal
Tribunale ordinario di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Precedenti giurisprudenziali:
Corte cost., sent. 11 dicembre 2020, n. 268;
Corte cost., sent. 28 ottobre 2014, n. 243.

 

FONTE QUOTIDIANO GIURIDICO